Le quattro crisi economiche che sconvolsero il mondo, in questo ultimo quindicennio
di Cosimo Maggio
Dalla crisi bancaria…
Il tutto ha avuto inizio negli United States of America, agli albori del nuovo millennio, quando cominciò a gonfiarsi una bolla immobiliare (aumento repentino dei prezzi degli immobili, che raggiungono un livello eccessivo, insostenibile, rispetto alla capacità media di spesa immobiliare di una collettività), accompagnata da massicci incrementi nel volume dei mutui, erogati da certe banche ai cosiddetti “clienti subprime” (clienti classificati come poco attendibili nella restituzione dei prestiti).
Il successivo aumento dei tassi, sui quali erano calcolate le rate, e il contestuale tracollo del valore delle case, che erano a garanzia dei contratti, resero tali contratti inesigibili (anche perché i debitori si ritrovarono a pagare un debito spropositato rispetto al prezzo aggiornato dell’immobile: semplicemente, smisero di pagare le rate del mutuo, sia perché la rata era diventata troppo alta per i loro redditi, sia perché non era più conveniente). L’effetto fu una crisi di illiquidità che mise in ginocchio le banche erogatrici. Siamo tra il 2007 e il 2008.
Comunque, contemporaneamente alla stipula dei contratti, l’alto rischio dei subprime aveva indotto le banche ad “operazioni di cartolarizzazione”, trasformazione dei crediti in titoli derivati (titoli il cui valore è derivato da quello di altri titoli), e vendita di questi ad altri intermediari finanziari, sia europei che asiatici, in cambio di liquidità immediata.
Ora, nel momento in cui i mutui divennero inesigibili, i derivati costruiti sui subprime azzerarono il loro valore: chi li aveva acquistati si ritrovò con cataste telematiche di “carta straccia”. Ecco come è avvenuto il contagio: l’esito negativo dell’esplosione della bolla immobiliare, attraverso i CDS e i CDO (strani pseudonimi, frutto dell’ingegneria finanziaria), si rifletté su tutto il mondo occidentale, destabilizzando banche e società mobiliari. La crisi finanziaria si trasformò in crisi di fiducia, il cui risultato è stato una vera calamità per il sistema bancario: tra fallimenti e salvataggi poco chiari, gli intermediari finanziari iniziarono a non fidarsi più gli uni degli altri. E questo durò per più di due anni.
…alla crisi del debito sovrano…
Intanto, nel gennaio 2010, i vertici UEM scoprirono che il debito pubblico della Grecia era “taroccato”: è così che si diede inizio ad una seconda fase destabilizzante per l’economia, in particolare per quella interna alla UE.
La crisi del debito sovrano si manifestò preoccupante per diversi paesi dell’area Euro, accentuata da un’economia mondiale in depressione o, comunque, in rallentamento.
Qualcuno riprese a parlare di Europa a due velocità. Si iniziò a sbarazzarsi dei titoli pubblici di quei paesi considerati “i meno virtuosi” (quelli appartenenti alla serie B della UEM), i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). In Italia, questo è ricordato come il periodo dell’impennata dello spread, il differenziale del nostro tasso rispetto a quello della Germania, espressione del livello di sfiducia che i mercati finanziari avevano verso il nostro paese.
…per finire in deflazione…
Infine, la deflazione, lo spauracchio più temuto dalle imprese: produrre beni e servizi che, tra la produzione e l’atto di vendita, subiscono una riduzione dei prezzi, contraendo ricavi e profitti, in presenza di recessione prolungata del reddito e dell’occupazione. Un periodo esteso di deflazione sarebbe più distruttivo di qualsiasi altra forma di crisi.
In Italia, il livello medio dei prezzi ha continuato a scendere fino al novembre del 2014, data in cui divenne negativo, e con lui anche i tassi di interesse reali.
…fino al 2018…
Mi chiedo: al primo semestre del 2018, eravamo riusciti ad uscirne da questa temibile triade di distruzione del valore?
In base ad una certa lettura dei dati macroeconomici sembrerebbe che la fase più problematica fosse passata. Pare che il PIL viaggiasse ad un tasso superiore al 1% e ad un tasso di inflazione comunque positivo, ma gli addetti ai lavori non sembravano proprio entusiasti.
E come erano andati gli altri stati?
Per la Germania, la sequenza delle crisi era durata solo 4 anni: già dal 2011 il PIL tedesco aveva ripreso a salire.
L’Inghilterra, poi, nel 2013 era riuscita a tornare a livelli pre-crisi.
L’Irlanda, che come noi era nei PIIGS, in quei ultimi due anni stava oscillando tra il 5% e 10%.
E così via… quasi tutti i Paesi, sia della zona Euro che esterni, si sono dati da fare e si sono messi alle spalle la crisi. Solo la Grecia ancora arrancava, anche se i numeri economici stavano sensibilmente migliorando.
E noi, l’Italia? Beh, tra la pseudo-riforma del jobs act, i finti tagli alla spesa pubblica, tentativi di riordino costituzionale andati a male, 80 euro a pioggia.. anzi a tempesta, riforma della “buona scuola”… senza portafoglio, e partiti che dopo le elezioni non riuscivano a darci un governo in tempi brevi… beh, sarebbe stato meglio se avessimo chiesto ai tedeschi di prestarci per qualche anno la Merkel… così, giusto per capire se il problema fosse “il bel Paese” o proprio i nostri politici.
…poi, infine, arrivò la pandemia
Ma ciò che sembrava poter essere un “cigno nero”, agli inizi del 2020 (noi ancora ci stavamo leccando le ferite delle tre precedenti crisi), si rivelò una delle peggiori realtà mai vissute (dall’intero mondo, io direi) in questi ultimi settant’anni (dalla fine della Seconda guerra mondiale, insomma): il Covid 19.
Per avere un’idea circa l’immenso impatto negativo del “lockdown” basta guardare ai dati previsionali sul PIL italiano per l’anno 2020:
- ISTAT: -8,3% (stima del 8 giugno 2020);
- Fondo Monetario Internazionale: -12,8% (stima del 24 giugno 2020);
- OCSE: -11,3% ovvero -14%, se ci sarà una nuova ondata Covid (stime del 10 giugno 2020);
- EUROSTAT: -5,3%, nel primo trimestre dell’anno (dato del 9 giugno 2020)…
…un vero balletto di cifre che la dice lunga sul fatto che neanche gli economisti e gli statistici riescono a prevederne i costi.
“Non ci resta che piangere”… e rimanere a guardare, io direi.