LE ASPETTATIVE NELLA TEORIA ECONOMICA

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Il pensiero economico da sempre ha valutato come fondamentale l’uso delle aspettative sia in riguardo al comportamento dei singoli individui sia per la formazione dei meccanismi dei mercati e dell’economia nella sua interezza. Malgrado ciò, esso nel corso dei decenni (dalla prima metà del novecento fino ai giorni nostri) non è mai riuscito a elaborare una teoria capace di spiegare la loro formazione, creando così i presupposti per basare il loro funzionamento su ipotesi ad hoc…

di Cosimo Maggio

La nave del folle

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di Cristiano Morgante

Lasciare che il ragionare sia un diritto dei titolati o dei titoli potrebbe essere una pratica negativa; il ragionare, o come amo definirlo il “filosofare”, dovrebbe non avere come caratteristica l’esclusività.

Immaginiamo quanti di questi atteggiamenti esclusivi potrebbero limitare le menti aperte, quelle menti, per intenderci, che hanno un metodo naturale innato, un’efficacia di ragionamento e qualità fuori dal comune, che per motivi vari non hanno avuto la possibilità o sentito la necessità di acquisire un titolo.

Con questo non sto dichiarando che la cultura sia inutile, anzi, amo fra le tante letture “L’utilità dell’inutile” del Manifesto (ed. Bompiani) di Nuccio Ordine. Affermo solo che il precludere l’espressione e la partecipazione di alcuni individui “non titolati” ma “dotati” potrebbe comportare un limite o una inibizione al metodo che esiste ma non si conosce, metodo del quale parleremo prossimamente. Ci troveremo certo concordi che la censura delle menti è una pratica che la società deve impedire ad ogni costo e in ogni luogo.

Mi permetto di fare un’ulteriore precisazione, e sembra già di vedervi con le mani sul volto esprimere attoniti il vostro dissenso: “anni di studio, esami, convegni, master e pubblicazioni e questo signor nessuno va scrivendo liberamente che sono un limitato?”. Siate comprensivi e permettetemi di spiegare meglio le ragioni di quanto scrivo: non sto invitando nessun a considerare la scuola e la cultura attivatà di secondo piano; il mio invito è semplicemente quello di uscire dai dogmi (che sono vincolanti) che ci confinano e rallentano nella crescita sociale, ponendo un enorme fardello sul cambiamento evolutivo dell’uomo, rendendo impossibile la partecipazioni alle menti che non sono programmate dal sapere storico, ma che lavorano sull’intuizione o sull’esperienza personale, o magari entrambe; i dogmi, insomma, sono causa di danni irreversibili al progresso … ne discuteremo in altri articoli.

C’è da dire, ad “onor del vero”, che questa censura non investe i soli “diversamente titolati”, concedetemi il “sarcasmo”, ma può limitare anche chi ne ha di titoli, e che spesso si trova espulso dalla comunità intellettuale, accusato di relegare le discipline di appartenenza a metodi non convenzionali; infatti, spesso si sente dire: “lei non rispetta i dettami imposti dalla comunità X o Y”.

In fondo, ammettiamolo, quante volte ci siamo sentiti isolati, pur proponendo idee che consideravamo valide? E per le stesse idee siamo stati derisi e totalmente neutralizzati dalla campagna moralizzatrice inflitta da un branco becero e inconsapevole. Quante volte hanno volontariamente direzionato le nostre argomentazioni su campi “convenzionali”, e maggiormente “utili” per gli interlocutori di turno, dai quali siamo stati costretti, nostro malgrado, a guardare realizzate da altri quelle che sentivamo a pieno titolo nostre idee; le stesse idee saranno realizzate da menti impavide, meno condizionate delle nostre e poco inclini al pensiero unico. In quell’istante, delusi e presi dallo sconforto, ci siamo sentiti come Atlante, castigati da Zeus, costretti a sorreggere sulle spalle la volta celeste, un universo che vuole mantenersi elevato e che non si pone le domande: dove sta poggiando i piedi Atlante per sostenere questo universo ? E la stessa terra, dove poggiano le possenti gambe di Atlante, da cosa è sostenuta?

Il mio invito è di esaltare, ascoltare e condividere la cultura e i pensieri, senza escludere nessuno dalla possibilità di esprimersi liberamente e serenamente, lontani dalla necessità di fondare circoli esclusivi, eliminando ogni vincolo, incentivando l’espressione individuale per un bene collettivo, al fine di sviluppare una crescita socio-culturale ad ampia prospettiva. Ma per fare questo ci vuole follia e coraggio, ed è necessario innanzitutto rinunciare ai vantaggi di appartenenza a quelle relazioni protettive che impediscono di incidere concretamente nella società, con la consapevolezza interiore di non poter, in nessun modo, vivere come i guardiani di un mausoleo, esseri senza volto e senza voce, immagini cristallizzate, senza tempo e senza sostanza, come le ombre che ci riportano al mito della caverna di Platone. Ci basterebbe insomma quel pizzico di follia, che citavo sopra, per rendere il mondo un posto migliore, per noi e per gli altri, una realtà di contenuti, ancor prima che di forma.

Mi sto imbarcando su questa nave insieme a compagni illustri e provetti marinai nel mare delle virtù, uomini di cultura e esperienza … a loro serviva un folle e a me un passaggio, percorreremo insieme rotte alternative, spesso insidiose, troveremo mare grosso e metteremo a rischio l’intero carico e forse tutto l’equipaggio; sarà difficile attraccare, e ad ogni porto non sarà semplice essere accolti. Ma l’avventura stessa è motivo di eccitazione, e sarò sempre riconoscente verso gli uomini e le donne che l’hanno permessa e sognata. Personalmente sono proteso verso “un meta che non vedo, ma che esiste”. La nave del folle oggi ha un motore, servono marinai e avventurieri, non schiavi rematori.

”Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia.” […] Perché la cultura occidentale ha respinto dalla parte dei confini proprio ciò in cui avrebbe potuto benissimo riconoscersi, in cui di fatto si è essa stessa riconosciuta in modo obliquo? Perché ha affermato con chiarezza a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”.  (Michel Foucault)

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Il progresso tecnico come “Factor Augmenting” nei modelli di teoria della crescita

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di Cosimo Maggio

INTRODUZIONE

L’introduzione del Progresso Tecnico nei modelli di crescita ha trovato, nel corso dei decenni, una serie di difficoltà dovute alla sua stessa natura di essere legato sia ai mutamenti tecnologici sia all’evoluzione dei processi produttivi, ma non all’equilibrio. I tentativi di inserirlo nella modellistica economica sono stati diversi, i più collegandolo ai diversi fattori produttivi, nella funzione di produzione, in modo tale che a parità di essi si ottenesse un più elevato livello di prodotto. Questo lavoro vuole ripercorrere, in maniera sintetica ma non esaustiva, le diverse forme più comunemente utilizzate in letteratura, concentrando l’attenzione sul Progresso Tecnico come Factor Augmenting.

DEFINIZIONI, CLASSIFICAZIONI E CONCETTI

In prima e parziale sintesi, proporremo il seguente schema [1] per lo studio e il raggruppamento della Progresso Tecnico nelle diverse forme presenti nella letteratura accademica.

Innanzitutto, abbiamo la distinzione tra Progresso Tecnico neutrale e non neutrale, nel senso di Harrod, nel senso di Hicks e nel senso di Solow, le cui differenze saranno oggetto di studio di questo lavoro. Il Progresso Tecnico può essere, inoltre, esogeno o endogeno: nel primo caso, è indipendente dal funzionamento del sistema economico (esso deriva da cause esterne ad esso, e viene considerato “come manna dal cielo”); nel secondo caso, deriva da cause interne al funzionamento del sistema economico: qui, la sua causa, il fattore che lo determina, può prendere diverse forme. Il Progresso Tecnico, ancora, può essere incorporato o non incorporato nello stock di capitale. Quindi, avremo un processo di apprendimento attraverso l’esperienza che accrescere la produttività di un impianto, oppure no. Ciò che caratterizza la differenza sta nella distinzione fra Progresso Tecnico e l’intero investimento in beni capitali. Se invece si vuole mettere in risalto il fatto che diverse “annate” (Vintages) di macchine incorporano generalmente diverse tecnologie, allora si distinguerà l’impatto del progresso tecnico in base all’età delle macchine utilizzate. Infine, c’è la distinzione tra Progresso Tecnico di processo (le innovazioni riguardano il processo produttivo) e il Progresso Tecnico di prodotto (se riguardano nuovi prodotti). È interessante, in questo ultimo tipo di classificazione, la distinzione delle tre fasi di un processo economico: l’invenzione, l’innovazione e la produzione di massa. Nel continuo di questo lavoro, ci occuperemo del primo tipo di classificazione, cioè analizzeremo il Progresso Tecnico come “Factor Augmenting”, il “fattore che incrementa”, rimandando alla letteratura specializzata la rimanente parte delle definizioni date.

IL PROGRESSO TECNICO COME “FACTOR AUGMENTING”

Una espressione [2] ampiamente utilizzata in letteratura nel definire il Progresso Tecnico è Factor Augmenting. Secondo questa definizione, il Progresso Tecnico può essere interpretato come se la quantità dei fattori di produzione fosse stata “aumentata”, anche se nella realtà è rimasta costante. In questa formulazione, la funzione di produzione aggregata è scritta nel seguente modo

Y = F[A(t)·K, B(t)·L]

dove A(t)·K e B(t)·L rappresentano rispettivamente lo “stock di capitale misurato in unità di efficienza” e la “forza di lavoro misurata in unità di efficienza”. Se

A(t) = dA/dt > 0 e B(t) = 1

il Progresso Tecnico è definito Capital Augmenting. Se

B(t) = dB/dt > 0 e A(t) = 1

il Progresso Tecnico è Labour Augmenting. Se

A(t) = dA/dt = dB/dt = B(t)

il Progresso Tecnico è nella stessa misura Capital and Labour Augmenting. È interessante osservare che questa rappresentazione non implica alcunché sulle cause o sulla fonte del miglioramento tecnologico. Per esempio, la rappresentazione del Progresso Tecnico come Labour Augmenting non implica che vi sia stato un mutamento nella qualità del lavoro, ma magari è dovuto a miglioramenti nei macchinari utilizzati. Inoltre, i modelli che più di altri hanno usufruito di questa rappresentazione sono stati i modelli di sviluppo neoclassici, prima di tipo esogeno e poi di tipo endogeno. Infine, nell’ipotesi di rendimenti costanti di scala, e contemporaneamente nel caso di Capital and Labour Augmenting, avremo

Y = A(t)·F[K, L].

IL PROGRESSO TECNICO “NEUTRALE” SECONDO HICKS

Secondo Hicks [3]:

• il Progresso Tecnico è Labour-Saving se, ad un certo rapporto capitale/lavoro, esso implica un miglioramento del rapporto tra la produttività marginale del capitale e quella del lavoro;

• inoltre, il Progresso Tecnico è Capital-Saving se, ad un certo rapporto capitale/lavoro, esso comporta una riduzione del rapporto tra produttività marginale del capitale e quella del lavoro;

• il Progresso Tecnico, infine, è neutrale se, ad un dato rapporto capitale/lavoro, esso comporta un rapporto invariato tra la produttività marginale del capitale e quella del lavoro.

La Hicks-neutral production functions [4] può essere scritta come

Y = A(t)·F[K, L]

Ora, poiché in condizioni di equilibrio competitivo, la produttività marginale del capitale, in un modello aggregato, è uguale al saggio di interesse, r, e la produttività marginale del lavoro è uguale al salario reale, w, e tenuto conto che nella classificazione di Hicks si tiene costante rapporto capitale/lavoro, potremmo anche dire che, secondo Hicks,

• il progresso tecnico è Labour-Saving se il rapporto tra le quote distributive del capitale e del lavoro è crescente;

• il progresso tecnico è Capital-Saving se il rapporto tra le quote distributive del capitale e del lavoro è decrescente;

• infine, il progresso tecnico neutrale se lascia invariato il rapporto tra le quote distributive.

Non è difficile rendersi conto che il progresso tecnico neutrale nel senso di Hicks ha la stessa natura del Progresso Tecnico Capital and labour Augmenting: infatti, per la definizione di Hicks le quote distributive devono rimanere invariate e deve rimanere invariato il rapporto capitale/lavoro; queste condizioni richiedono che il rapporto lavoro/prodotto e il rapporto capitale/prodotto diminuiscano nella stessa misura dato che la produttività marginale del lavoro e la produttività marginale del capitale aumentano nella stessa misura. Infine, bisogna osservare che la definizione del Progresso Tecnico secondo Hicks non è di grande aiuto all’interno della teoria neoclassica dello sviluppo economico. Infatti, nella teoria neoclassica dello sviluppo, uno spostamento verso l’alto della funzione di produzione pro capite racchiude in sé il passaggio ad un nuovo sentiero di sviluppo equilibrato, con un più elevato rapporto prodotto/lavoro e con un più elevato rapporto capitale/lavoro, mentre la definizione del Progresso Tecnico secondo Hicks è basata sul fatto che esso si ottenga avendo il medesimo rapporto capitale/lavoro; pertanto tale definizione non risulta utile ai modelli neoclassici dello sviluppo.

IL PROGRESSO TECNICO “NEUTRALE” SECONDO HARROD

Harrod [5] definisce neutrale un’innovazione che, ad un dato saggio di interesse mantenuto costante, non modifica il rapporto capitale/prodotto. Nell’ambito della teoria neoclassica, questa definizione è stata riformulata come “Progresso Tecnico neutrale nel senso di Harrod” quello che, per ogni dato valore del rapporto capitale/prodotto, lascia invariata la produttività marginale del capitale. Quindi,

• il progresso tecnico è neutrale nel senso di Harrod se lascia invariata la quota del reddito che va al capitale;

• il progresso tecnico è Labour-Saving nel senso di Harrod se, dato un certo rapporto capitale/prodotto, la quota distributiva che va al lavoro diminuisce, e aumenta quella del capitale;

• mentre è Capital-Saving nel senso di Harrod se, dato un certo rapporto capitale/prodotto, la quota distributiva che va al capitale diminuisce, e aumenta quella del lavoro.

Paragonando le due classificazioni del Progresso Tecnico viste finora, ambedue lo differenziano a seconda dei suoi effetti sulle quote distributive del reddito rispetto al lavoro e rispetto al capitale. La diversità sta nel fatto che nella definizione di Hicks si mantiene costante il rapporto capitale/lavoro, mentre in quella di Harrod si mantiene costante il rapporto capitale/prodotto. La Harrod-neutral production functions [6] può essere scritta come

Y = F[K, A(t)·L]

dalla quale forma è facile rendersi conto che il progresso tecnico neutrale secondo Harrod è equivalente ad un “Progresso Tecnico Labour-Augmenting”. Infatti, il progresso neutrale nel senso di Harrod richiede che il rapporto capitale/prodotto resti costante; ne consegue che il progresso tecnico deve manifestarsi con un aumento proporzionale ed eguale del prodotto per lavoratore e del capitale per lavoratore; e questo è proprio del Progresso Tecnico Labour-Augmenting di esplicitarsi esclusivamente attraverso un accrescimento della produttività del lavoro. Infine, bisogna osservare che l’unico tipo di Progresso Tecnico compatibile con lo sviluppo equilibrato di lungo periodo della teoria neoclassica è il quello Labour-Augmenting, ossia il “Progresso Tecnico neutrale in senso di Harrod”. Infatti, dato che, lungo il sentiero di sviluppo equilibrato neoclassico, il rapporto prodotto/capitale deve rimanere costante, ciò significa che il prodotto per lavoratore e il capitale per lavoratore devono entrambi crescere ad un saggio uguale è costante. E questo implica che la quota distributiva del capitale sia costante, e, ancora, questo richiede la costanza del saggio di interesse, il che corrisponde alla neutralità del Progresso Tecnico nel senso di Harrod.

IL PROGRESSO TECNICO “NEUTRALE” SECONDO SOLOW

Nell’articolo del 1957, Solow [7] esamina la possibilità di inserire nel suo modello del 1956 il progresso tecnico, partendo dall’ipotesi di Progresso Tecnico Hicks-neutral, con una funzione di produzione aggregata Cobb-Douglas: il progresso tecnico sarebbe dovuto essere modellizzato come un fattore moltiplicativo della funzione originaria, che aumenta il prodotto senza modificare il saggio marginale di sostituzione tecnica. Ma a differenza di Hicks, egli propone che, invece di rimanere invariato per un dato rapporto capitale/lavoro, il rapporto delle quote di input, (L·FL)/(K·FK), rimaneva invariato per un dato rapporto lavoro/prodotto. La Solow-neutral production functions può essere scritta come

Y = F[A(t)·K, L]

dalla quale forma è facile rendersi conto che il progresso tecnico neutrale secondo Solow è equivalente ad un “Progresso Tecnico Capital-Augmenting”, poiché un “miglioramento tecnologico aumenta la produzione nella stessa maniera di un incremento nello stock di capitale”.

Note

[1] Liberamente tratto da: Valli V. (1993), “Politica Economica. Teoria e politica dello sviluppo”, NIS. Vol.1.

[2] Tra gli altri, vedi: Musu I. (1980), “Teorie dello sviluppo economico”, ISEDI, par. 5.3, pag. 66.

[3] Cerca in: Hicks, J.R. (1964), “The Theory of wages”, London, Macmillan.

[4] Barro R. J., Sala-i-Martin X. (1998), “Economic Growth”, MIT press, par 1.2.10, pagg. 32 e seguenti.

[5] Harrod R. F. (1942), “Toward a dynamic Economics: some recent development of economic theory and their application to policy”, Macmillan. Ma anche: Harrod, R.F. (1961), The “Neutrality” of Improvements, Economic Journal, LXXI, 300-304.

[6] Barro R. J., Sala-i-Martin X. (1998), “Economic Growth”, MIT press, par 1.2.10, pag. 32 e seguenti.

[7] Solow R. M. (1957), “Technical Change and the Aggregate Production Function”, in “Review of Economics and Statistics”, august. Vedi anche: Solow, R.M. (1963), Capital Theory and the Rate of Return, Amsterdam.

[8] Solow R. M. (1956), “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, in “Quarterly Journal of Economics, 70, february, 65-94.”

[9] Barro R. J., Sala-i-Martin X. (1998), “Economic Growth”, MIT press, par 1.2.10, pag. 32 e seguenti.