Dialogo tra Democrito e Platone
di Cosimo Maggio
Quando irruppe dentro, lo trovò sdraiato sul letto che fissava inerme il soffitto. Si guardò intorno, scosse la testa e con un fazzoletto alla bocca si diresse risoluto verso la finestra. Quando la aprì, un alito veloce di vento fresco conquistò la stanza, facendo svolazzare tende, fogli e polvere. Democrito ricominciò a respirare. Poi, fissò l’altro, e risoluto: “Ora mi spieghi che stai combinando? Il tuo servo mi ha detto che sono cinque giorni che non esci di casa: non mangi, non ti lavi, non apri la tua bottega; i tuoi clienti si lamentano, e rivogliono i loro orologi e i loro soldi; come pensi di andare avanti così?”; al lato della porta c’era un tavolino con la cena della sera precedente intatta. “Dammi una motivazione valida di questo tuo insensato comportamento”.
E con fievole voce: “Motivazione? Sbagli la domanda, amico mio: non chiederti la causa; pensa allo scopo, invece; chiediti: a quale scopo”, Platone si sollevò a stento, ma ricadde giù pesantemente sul letto.
“Tu vaneggi: mi stai dicendo che questo tuo lascivo modo di consumarti dipende dal fine che hai, ma non dalla causa che ti ha portato alla depressione? Sei depresso, questo si vede; ma non so per quale motivo”, trascinò una sedia davanti al letto. Si piazzò lì, benevolo. “Allora, dimmi: ascolto con trepidazione”.
“Ti ripeto: non c’è una vera causa intermedia; c’è solo quella finale. Tutto ha uno scopo”, questa volta fece leva sulle tremolanti braccia; riuscì a tirarsi su.
Democrito si mostrò spazientito: “Non mi prendere in giro; nulla avviene senza motivo, ma tutto secondo una ragione e con necessità. Il tuo scopo finale è solo la conclusione di una sequenza meccanica di cause e di effetti, che auto-organizzandosi si evolvono dinamicamente verso un nuovo equilibrio instabile, e tutto ricomincia”. L’altro, intanto, si era rigirato e seduto sul letto, lentamente, di fronte a lui.
“Non è vero: nulla si auto-regola. Credimi. Abbiamo bisogno di un intervento esterno che indirizzi le cose. Tu sei un orologiaio come me, e sai che, per il tuo fine ultimo, devi progettare gli ingranaggi, gestire le molle, garantire le interconnessioni, altrimenti… altrimenti, l’orologio non funziona: gli orologi hanno bisogno di un orologiaio intelligente, non cieco, come dici tu. Hai capito quello che intendo? L’orologio risponde a te, che ne sei il costruttore. La realtà non è cieca, non si evolve nel caos; agisce secondo la coscienza del suo creatore… il mio stato pietoso risponde alle necessità del progetto finale di chi guida le mie fila e orienta le mie azioni”, digrignò i denti e chiuse gli occhi. Sembrava che stesse soffrendo ma di un dolore dell’anima più che di un dolore fisico. “Amico mio, siamo fregati: non c’è speranza per la nostra libertà e indipendenza”, sospirò di un fiato pesante e disperato.
“Praticamente ti stai suicidando coscientemente, e di cui non se ne capiscono i motivi, per uno strano scopo pensato e ideato a priori da un demiurgo illuminato che sta al di sopra della tua logica volontà e necessità di sopravvivere? Platone, che ti sei fumato? La tua azione di non mangiare ha un effetto non logico; il tuo inesorabile e spietato fine cozza contro la positiva esigenza di reazione: non se ne vede un ragionevole traguardo, l’obiettivo finale, nella tua argomentazione. E tu dici che esiste un’entità esterna a te che avrebbe già deciso che tu avresti fatto una brutta fine? Guardati, farai una brutta fine”, sospirò. “Ebbene sì: là fuori, al di fuori della tua bottega di orologiaio intelligente, esiste solo un orologiaio cieco che lascia scorrere il tutto nel caos libero e senza scopo finale: nessuno progetta il tuo futuro, sappilo”. Si alzò, e con rabbia, afferrandolo per la giacchetta: “Io però ho la soluzione”.
E Platone, alquanto impressionato da quell’inspiegabile e inaspettato atto: “E qual è la soluzione?”, lo disse sgranando gli occhi, un po’ perplesso.
“Shopping, andiamo a fare shopping: il tuo orologiaio intelligente non l’avrebbe potuto prevedere questo”, se lo acchiappò di peso e se lo trascinò con forza fuori casa.
[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1a, Paravia-Pearson]