L’esistenza di Dio è provabile con la ragione o è una scommessa della fede?

Tempo di lettura: 4 minuti

Dialogo tra Tommaso d’Aquino e Guglielmo di Ockham

di Cosimo Maggio

        Quella sera nel pub non c’era poi tanta gente. Aveva piovigginato tutto il giorno, e proprio in quel momento stava diluviando.

        Tommaso era arrivato presto, e aveva occupato un tavolino posto in un angolo della sala centrale rivolto verso la porta d’entrata. In mano stringeva un bel boccale di birra non filtrata, e tra una sorsata e l’altra, osservava in silenzio i pochi che entravano.

        Dopo un’oretta buona, Guglielmo fece capolino. Lo individuò subito e gli andò incontro. Era fradicio, che lasciò una striscia d’acqua sul pavimento lungo il tragitto. Si sedette pesantemente.

– “Pensavo che non venissi più”, Tommaso, chiusi gli occhi, assaporò la birra; gli porse un pacchetto di fazzolettini di carta.

– “Lascia perdere: tra il lavoro e la pioggia battente è un miracolo che sia qui”, tentò di asciugarsi al meglio il viso e il capo; poi, chiamò a gran voce la cameriera e le ordinò una pinta scura. “Tu, invece? Avevo capito che forse non ci saresti stato. Non avevi l’incontro con l’editore per il tuo nuovo libro?”

– “La Somma Teologica… già, ma l’appuntamento è stato annullato”, lo disse con disappunto.

– “Non mi dire che il tuo editore si è accorto delle frottole che scrivi?”, Guglielmo sghignazzò. “Che mi dicevi la scorsa settimana? Ah già: la prova a posteriori dell’esistenza di Dio… le cinque vie: ma che sei Google Map?”, sghignazzò ancora soddisfatto della battuta.

– “Falla finita sassone, che non è giornata”.

– “Ma dai, non ti arrabbiare”, gli servirono la pinta, una scodella di olive verdi e dei pistacchi. “Io scherzo, ma credimi: non puoi costruire una teoria così azzardata, basandoti sull’osservazione del mondo come se non ne facessi parte. Davvero il tuo stupore per la maestosità della natura ti porta a validare Dio? Davvero tu, homo viator, pensi che l’esistenza di Dio ti si possa rivelare attraverso un’evidenza logica, oppure attraverso una futile dimostrazione, o ancora per pura esperienza? Scusa se te lo dico, ma non pensavo che fossi così… così sempliciotto da giocarti la carta della deduzione logica dell’imponderabile”.

        Tommaso saltò su tutte le furie. Si alzò in piedi e, con aria minacciosa, gli gridò: “Se Dio mi ha accordato una ragione capace, perché mai non dovrei usarla per conoscere proprio colui che me l’ha concessa? Fede e ragione interagiscono insieme come la grazia lo fa con la natura umana, e come la perfezione presuppone il perfettibile: la fede si rivela attraverso le Sacre Scritture, mentre la ragione ne dimostra le verità fondamentali, come l’esistenza di Dio, per esempio… ma tu che ne capisci di tutto questo”, si azzittì, calmatosi si rimise seduto.

        L’amico annuì: “Non era mia intenzione insultarti, sai. Anzi, facciamo così: ripartiamo d’accapo, e spiegati. Io ti dirò come la penso”.

        Sorseggiò ancora, e buttò in bocca un’oliva. Tommaso si calmò: “Tu lo sai… l’esistenza di Dio non ci è concessa così immediata, istantanea e ovvia. Abbiamo la sfortuna di doverla costruire e avvalorare: Dio è una verità che la ragione deve dimostrare, partendo dalle percezioni che abbiamo di Lui. Tutto parla di Dio, tutto sa della sua essenza. Ed è da qui che dobbiamo iniziare: dall’esperienza sensibile, la ragione ne trae la causa ultima. È solo dalla realtà, così come ci appare, che possiamo risalire alla sua divina esistenza”.

        “Ma solo se lo vogliamo, ammettilo… ammetti che conoscerlo è una scelta della nostra volontà… altrimenti… altrimenti, Dio ci rimane escluso: la sua conoscenza è un’esclusiva solo di chi lo cerca, del fedele che leggendo le Sacre Scritture si innamora di Lui. E’ il suo supremo atto di grazia nei confronti dell’Uomo, te lo concedo. Ma per chi non lo cerca, Egli rimane nascosto: praticamente non esiste”, lo disse con convinzione.

– “E perché mai dovrebbe essere così? Un dio nascosto che si rivela a piacer del l’Uomo. Capisci che non ha senso?”

– “Perché Dio non è una verità conoscibile, ma solo un contenuto di fede. Sentiamo: quali sono queste tue 5 vie?”

        Guglielmo era incalzante con le sue insistenti domande; allora, Tommaso distolse lo sguardo, e raggiunta una pur minima concentrazione, con il boccale della birra in mano, iniziò: “Osservazione del mondo fisico, perché tutto ciò che si muove è mosso da altro, ed è da qui che se ne traggono le informazioni che cerchiamo su Dio… questa è la prima via, la via ex motu; bisogna poi tenere a mente il principio di causa ed effetto, perché conoscendo l’effetto se ne può dedurre la causa, sapendo che comunque non si può andare a ritroso all’infinito, e che prima o poi si arriva alla causa prima, cioè Dio … questa è la via ex causa; e ancora, bisogna ricordarsi che le cose possibili esistono solo in virtù delle cose necessarie, e che quest’ultime hanno la causa della loro necessità o in sé stesse o in altro, e quest’altro è solo Dio… è la via ex possibili et necessario; ma anche, in ogni cosa si trova più o meno il vero, più o meno il bene e più o meno la perfezione, ma solo Dio è il vero, il bene e la perfezione massima… è la via ex gradu perfectionis; infine, la quinta via, quella che si desume dalla finalità delle cose: la via ex fine, secondo la quale tutto si dirige verso un fine supremo che lo governa, cioè Dio. Ecco, queste sono le cinque vie”, e tacque; posò il bicchiere e si asciugò la fronte.

        L’altro esplose in una plateale risata, che Tommaso rimase spiazzato.

– “Ma allora, queste tue prove dell’esistenza di Dio non sono altro che mere persuasiones, argomentazioni probabili istigate dalla libera scelta di credere o meno; non sono dimostrationes, come tu dici: non sono argomentazioni che, eliminando ogni ragionevole dubbio, obbligherebbero l’intelletto a sottostare alla tesi dimostrata. Le tue vie continuano ad essere il frutto di una scelta di fede. Mi dispiace deluderti, amico mio, ma fede e ragione continuano ad essere inconciliabili… belle parole le tue, ma poco efficaci, io direi”, Guglielmo fu implacabile, a tal punto che in cuor suo se ne pentì subito.

– “E che diamine dovrei fare per convincerti? Siamo seri”.

– “Siamo seri: potresti offrirmi un’altra birra, per esempio, e vedrai che già dopo la seconda mi diviene più facile condividere queste tue idee”.

– “E che sia… cameriera? Due altre pinte, per favore”.

[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1b, Paravia-Pearson]

Il “Tempo”, bisognerebbe farne una questione personale o basta intenderlo come una misura oggettiva?

Tempo di lettura: 3 minuti
Riflessioni eretiche sul tempo
Salvador-Dalì ”melting-watch” (1954)

Dialogo tra Aristotele e Agostino

di Cosimo Maggio

Anche quella mattina, il professor Aristotele, come tutte le volte che entrava in aula, senza proferir parola, si posizionò davanti alla lavagna, spalle agli studenti, e iniziò a scrivere e commentare le sue formule di fisica, una appresso all’altra, con una velocità tale che la grafia risultava incomprensibile. Anche quella mattina, lettere scarabocchiate, messe accanto a numeri mozzati a metà, uscirono fuori dal suo gessetto con una sequenza vertiginosa e fitta che alla fine la lavagna stessa cambiava colore.

E finite, poi, le sue dimostrazioni, si girava soddisfatto verso una platea rumoreggiante, per poi passare buoni dieci minuti a ricalcate ciò che aveva scritto, prima di cancellare tutto e ricominciare. Il professor Aristotele era, insomma, un famoso pasticcione, ma di gran cuore comunque, perché agli studenti ci teneva, e a tal punto che non bocciava mai nessuno.

Quel giorno, dimostrò l’equazione della “legge oraria” del Moto Rettilineo Uniforme, per poi derivarne, da quella, la formula del “tempo”. La fissò per un attimo, sorrise, e giratosi verso gli studenti che continuavano a schiamazzare, con voce pesante e calma:

-“Vedete questa ultima formula, ragazzi?”, la indicò e ci sostò sopra ancora. “Questo è il tempo: una grandezza fisica, voi mi direte; o semplicemente è un’invenzione della nostra mente? Io vi chiederei”, chiuse gli occhi e sospirò. Intanto, un silenzio inatteso aveva avvolto l’aula. “Il tempo è qui, dimostrato di fronte a voi, la semplice espressione di un concetto matematico: lo vedete da voi. È la variabile attraverso la quale l’uomo misura il movimento delle cose nello spazio… ecco: tempo, movimento e spazio… non soli, ma insieme bisogna nominarli, perché ciascuno di essi è imprescindibile dagli altri, non esiste senza gli altri: uno e trino”, sghignazzò; poi, prese un fazzoletto e si asciugò la fronte. “Ora, dei tre concetti prendete il solo tempo: è il numero del movimento secondo il prima e il poi. Esso può essere un istante che divide il “non essere più” (il passato, per intenderci) e il “non essere ancora” (il futuro, per essere chiari). Ma, allo stesso modo, può essere l’eterno del prima e del poi. E alla fine, che cos’è? Un numero, semplicemente un numero che ha bisogno di un’anima che ne legga la misurazione. Insomma, il tempo esiste come elemento oggettivo della realtà esterna, ma ha bisogno di noi per essere letto”, e quindi tacque.

Taceva lui e tacevano i suoi studenti che attendevano che lui continuasse.

Dal fondo della stanza qualcuno gridò un proprio disappunto:

-“Tutto questo è un’aporia”, dagli ultimi posti di quell’affollata aula un ragazzo si alzò.

-“Una che?”, mise a fuoco gli occhi, e lo cercò tra i banchi. “Cosa hai detto, figliuolo? Presentati alla classe e spiegati meglio”.

-“Che è un’aporia”, quello strillò ancora più forte. “Mi chiamo Agostino, e dico che il suo discorso è una dimostrazione circolare”. Si guardò intorno, e con un po’ di emozione, riprendendo fiato: “Lei utilizza il tempo per definire il movimento, ma allo stesso modo, per definire il movimento ha utilizzato il concetto di tempo: è un circolo logico. E poi, dal suo discorso, prof, ne esce fuori che il tempo è inconsistente: lei dice che esso è formato dal presente che è un punto inesteso e inafferrabile, un istante senza dimensione; dal futuro, che non è ancora, e che quindi non esiste; e dal passato, che non è più, e che quindi ha smesso di esistere. Ma allora, questo tempo che cos’è? Perché: se fosse sempre presente, che è l’unica certezza dell’essere “Tempo”, senza tradursi in passato o futuro, non sarebbe più tempo ma eternità. Quindi, per essere tempo, il Tempo ha bisogno del passato; ma se esiste perché è esistito, ha poi la necessità di continuare ad esistere, e ha bisogno di essere futuro. Insomma, il Tempo, per esistere, ha bisogno di qualcuno che lo intuisca oggi, lo ricordi domani e lo aspetti speranzoso ieri”, si sedette.

-“Cioè, tu, Agostino, affermi che il Tempo è un pensiero?”

-“Di più, prof: è un estendersi e un distendersi della coscienza individuale”.

-“Sei quindi un fautore della concezione soggettiva del tempo. E come lo spieghi il movimento, allora?”

-“Attraverso il fluire del Tempo: vede prof, la coscienza si contrae verso il passato quando oggi ricorda, si protende verso il futuro quando oggi spera e attende, intuisce il flusso del tempo che la attraversa quando oggi ne ha la visione per pura intuizione”.

-“A sì? Allora, spiegati: se ti do una misura, per esempio ti dico che sono le 12:00 in punto, cosa ne intuisci?”

-“Che è finita la lezione, prof, ed è ora di andare a pranzo”.

[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1b, Paravia-Pearson]