di Cosimo Maggio
Dialogo tra Socrate e Platone
– “So quello che dico, e lo dico con convinzione: il ladro ruba e l’assassino uccide, non perché sono cattivi, ma perché ignorano”, si accese il sigaro, ne ingurgitò una boccata profonda e sparò fuori un puzzo di fumo, che l’altro tossì. Sorrise.
– “L’uomo è malvagio, caro mio professor Socrate”, lo disse strozzato e con le lacrime agli occhi, tossì di nuovo. Prese un fazzoletto dalla tasca del panciotto e si asciugò il viso, ingurgitò veloce un sorso di whisky. Posò il bicchiere sul tavolino. “E’ un problema di volontà… diciamo un difetto di volontà, ma non certo un difetto di ragione, come dici tu”, fece un respiro profondo. Continuava a rigirarsi sulla sedia scomoda.
Socrate, intanto, se lo gustava. Gli passeggiava davanti e continuava a sorride. Si rimise il sigaro in bocca e ne cacciò un fumo più intenso. Si piegò su quello, tornò all’attacco.
– “Non mi convinci, sai. Il difetto della ragione c’è: si percepisce, ma l’uomo compie il male perché lo confonde con il proprio bene. Questa è la più ovvia conclusione”, si tirò su. “Egli pensa che quella azione, che gli altri giudicano come una cattiva azione, sia per lui una buona azione: ciò trova giustificazione nel fatto, penso, che ha una razionalità limitata che non va oltre il proprio naso. L’uomo non è di per sé cattivo, è solo inconsapevole, e tu, dottor Platone, dovresti saperlo bene: è l’azione che è cattiva, non l’individuo che l’ha compiuta”. L’altro intanto provò ad allungare le gambe sul poggiapiedi di pelle, e se le sgranchì con un movimento non naturale. La sedia sembrava sempre più scomoda.
– “Beh, in questo modo è facile giustificali”, Platone non sembrava convincersi. “Tu riesci ad assolverli ancor prima che loro abbiano commesso il delitto. Io dico invece che l’uomo è dal fondo malvagio, e che la sua malvagità dipende da un difetto della debole volontà. La sua scelta di fare il male è una scelta consapevole, che persegue irresistibilmente perché è debole. È come se fosse trascinato da un primitivo impulso irrazionale che vince sulla coscienza, sulla razionalità, sull’altruismo, sul comportamento etico. E la cosa più interessante, amico mio tienila bene a mente, è che la cattiveria è una scelta voluta. È come se fosse una perversione delle proprie possibilità; non la subisce perché inconsapevole ma la decide e basta”, Platone troncò quasi stizzito. Si alzò finalmente e si diresse verso la porta. “L’uomo va giudicato sì per le sue cattive azioni, ma va condannato perché è predisposto ad esse… consapevolmente”, uscì dalla stanza sbattendosi dietro la porta.
– “Povero pazzo, sei solo un povero pazzo isterico”, spostò la tendina della finestra, chiuse gli occhi, si rimise il sigaro in bocca.
[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1a, Paravia-Pearson]