L’esistenza di Dio è provabile con la ragione o è una scommessa della fede?

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Dialogo tra Tommaso d’Aquino e Guglielmo di Ockham

di Cosimo Maggio

        Quella sera nel pub non c’era poi tanta gente. Aveva piovigginato tutto il giorno, e proprio in quel momento stava diluviando.

        Tommaso era arrivato presto, e aveva occupato un tavolino posto in un angolo della sala centrale rivolto verso la porta d’entrata. In mano stringeva un bel boccale di birra non filtrata, e tra una sorsata e l’altra, osservava in silenzio i pochi che entravano.

        Dopo un’oretta buona, Guglielmo fece capolino. Lo individuò subito e gli andò incontro. Era fradicio, che lasciò una striscia d’acqua sul pavimento lungo il tragitto. Si sedette pesantemente.

– “Pensavo che non venissi più”, Tommaso, chiusi gli occhi, assaporò la birra; gli porse un pacchetto di fazzolettini di carta.

– “Lascia perdere: tra il lavoro e la pioggia battente è un miracolo che sia qui”, tentò di asciugarsi al meglio il viso e il capo; poi, chiamò a gran voce la cameriera e le ordinò una pinta scura. “Tu, invece? Avevo capito che forse non ci saresti stato. Non avevi l’incontro con l’editore per il tuo nuovo libro?”

– “La Somma Teologica… già, ma l’appuntamento è stato annullato”, lo disse con disappunto.

– “Non mi dire che il tuo editore si è accorto delle frottole che scrivi?”, Guglielmo sghignazzò. “Che mi dicevi la scorsa settimana? Ah già: la prova a posteriori dell’esistenza di Dio… le cinque vie: ma che sei Google Map?”, sghignazzò ancora soddisfatto della battuta.

– “Falla finita sassone, che non è giornata”.

– “Ma dai, non ti arrabbiare”, gli servirono la pinta, una scodella di olive verdi e dei pistacchi. “Io scherzo, ma credimi: non puoi costruire una teoria così azzardata, basandoti sull’osservazione del mondo come se non ne facessi parte. Davvero il tuo stupore per la maestosità della natura ti porta a validare Dio? Davvero tu, homo viator, pensi che l’esistenza di Dio ti si possa rivelare attraverso un’evidenza logica, oppure attraverso una futile dimostrazione, o ancora per pura esperienza? Scusa se te lo dico, ma non pensavo che fossi così… così sempliciotto da giocarti la carta della deduzione logica dell’imponderabile”.

        Tommaso saltò su tutte le furie. Si alzò in piedi e, con aria minacciosa, gli gridò: “Se Dio mi ha accordato una ragione capace, perché mai non dovrei usarla per conoscere proprio colui che me l’ha concessa? Fede e ragione interagiscono insieme come la grazia lo fa con la natura umana, e come la perfezione presuppone il perfettibile: la fede si rivela attraverso le Sacre Scritture, mentre la ragione ne dimostra le verità fondamentali, come l’esistenza di Dio, per esempio… ma tu che ne capisci di tutto questo”, si azzittì, calmatosi si rimise seduto.

        L’amico annuì: “Non era mia intenzione insultarti, sai. Anzi, facciamo così: ripartiamo d’accapo, e spiegati. Io ti dirò come la penso”.

        Sorseggiò ancora, e buttò in bocca un’oliva. Tommaso si calmò: “Tu lo sai… l’esistenza di Dio non ci è concessa così immediata, istantanea e ovvia. Abbiamo la sfortuna di doverla costruire e avvalorare: Dio è una verità che la ragione deve dimostrare, partendo dalle percezioni che abbiamo di Lui. Tutto parla di Dio, tutto sa della sua essenza. Ed è da qui che dobbiamo iniziare: dall’esperienza sensibile, la ragione ne trae la causa ultima. È solo dalla realtà, così come ci appare, che possiamo risalire alla sua divina esistenza”.

        “Ma solo se lo vogliamo, ammettilo… ammetti che conoscerlo è una scelta della nostra volontà… altrimenti… altrimenti, Dio ci rimane escluso: la sua conoscenza è un’esclusiva solo di chi lo cerca, del fedele che leggendo le Sacre Scritture si innamora di Lui. E’ il suo supremo atto di grazia nei confronti dell’Uomo, te lo concedo. Ma per chi non lo cerca, Egli rimane nascosto: praticamente non esiste”, lo disse con convinzione.

– “E perché mai dovrebbe essere così? Un dio nascosto che si rivela a piacer del l’Uomo. Capisci che non ha senso?”

– “Perché Dio non è una verità conoscibile, ma solo un contenuto di fede. Sentiamo: quali sono queste tue 5 vie?”

        Guglielmo era incalzante con le sue insistenti domande; allora, Tommaso distolse lo sguardo, e raggiunta una pur minima concentrazione, con il boccale della birra in mano, iniziò: “Osservazione del mondo fisico, perché tutto ciò che si muove è mosso da altro, ed è da qui che se ne traggono le informazioni che cerchiamo su Dio… questa è la prima via, la via ex motu; bisogna poi tenere a mente il principio di causa ed effetto, perché conoscendo l’effetto se ne può dedurre la causa, sapendo che comunque non si può andare a ritroso all’infinito, e che prima o poi si arriva alla causa prima, cioè Dio … questa è la via ex causa; e ancora, bisogna ricordarsi che le cose possibili esistono solo in virtù delle cose necessarie, e che quest’ultime hanno la causa della loro necessità o in sé stesse o in altro, e quest’altro è solo Dio… è la via ex possibili et necessario; ma anche, in ogni cosa si trova più o meno il vero, più o meno il bene e più o meno la perfezione, ma solo Dio è il vero, il bene e la perfezione massima… è la via ex gradu perfectionis; infine, la quinta via, quella che si desume dalla finalità delle cose: la via ex fine, secondo la quale tutto si dirige verso un fine supremo che lo governa, cioè Dio. Ecco, queste sono le cinque vie”, e tacque; posò il bicchiere e si asciugò la fronte.

        L’altro esplose in una plateale risata, che Tommaso rimase spiazzato.

– “Ma allora, queste tue prove dell’esistenza di Dio non sono altro che mere persuasiones, argomentazioni probabili istigate dalla libera scelta di credere o meno; non sono dimostrationes, come tu dici: non sono argomentazioni che, eliminando ogni ragionevole dubbio, obbligherebbero l’intelletto a sottostare alla tesi dimostrata. Le tue vie continuano ad essere il frutto di una scelta di fede. Mi dispiace deluderti, amico mio, ma fede e ragione continuano ad essere inconciliabili… belle parole le tue, ma poco efficaci, io direi”, Guglielmo fu implacabile, a tal punto che in cuor suo se ne pentì subito.

– “E che diamine dovrei fare per convincerti? Siamo seri”.

– “Siamo seri: potresti offrirmi un’altra birra, per esempio, e vedrai che già dopo la seconda mi diviene più facile condividere queste tue idee”.

– “E che sia… cameriera? Due altre pinte, per favore”.

[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1b, Paravia-Pearson]

IL TORNEO – Il “viaggio”, tra meraviglia, crescita morale e disillusioni: Marco Polo, Primo Levi e Italo Calvino a singolar tenzone

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di Cosimo Maggio

È a tutti noto che un certo Marco Polo, mercante e viaggiatore veneziano appartenente ad una famiglia di mercanti e viaggiatori veneziani, nell’ultimo quarto del tredicesimo secolo, intraprese un viaggio a dir poco “meraviglioso” verso la corte di Kublai Khan, discendente del grande Gengis e padrone di mezza Asia. Il giovane Polo soggiornò presso la corte mongola per più di vent’anni. Egli era ben voluto dal Khan a tal punto che per suo conto svolse diverse missioni diplomatiche, entrando così in diretto contatto con curiosi costumi e usanze, nuove terre e fantastici animali. Tornato a Venezia, fece trascrivere tale avventura a Rustichello da Pisa, mentre erano in prigione, durante la guerra contro Genova. Nacque così il Milione, un nuovo modo letterario di rappresentare la realtà, non più come un’invenzione della mente, ma attraverso un’esposizione che potremmo quasi dire “da documentarista”. Il viaggio, così, diviene un documentario con il compito di registrare, descrivere, insomma informare il lettore, esponendo il tutto in modo chiaro e preciso, ordinato; mentre le bizzarrie e le meraviglie, che pur ci sono nell’opera, rimangono relegate al senso di stupore che le “novità” raccontate provocano nel chi le legge.

        Nel 1981, Primo Levi pubblicò La ricerca delle radici, un’antologia personale frutto delle opere che più avevano segnato la sua formazione di scrittore: tra di questi, un posto importante era stato occupato proprio dal Milione di Marco Polo. Levi scrisse che le ragioni di tale scelta stavano nell’amore per il viaggio che ha consentito a lui di misurare la “statura dell’uomo”, plasmata con la dignità di chi affronta i pericoli e resiste, crescendo e maturando. Ecco che il “viaggio” diventa un mezzo di “crescita morale” necessaria all’individuo, pur rimanendo salvo l’aspetto per così dire scientifico del viaggiare. Per Levi, quindi, viaggiare è importante perché migliora sé stessi, arricchendosi di conoscenze non sperimentate prima.

        E ancora, anche Italo Calvino scrisse sul “viaggio”… anzi, si propose di riscrivere addirittura il Milione, realizzando così nel 1972 Le città invisibili; ma il suo punto di vista era totalmente diverso: se prima della sua conoscenza il mondo era sconosciuto e misterioso, indistinto e indefinito, totalmente “infinito”, per dirla in maniera leopardiana, il viaggio lo rivela così com’è, concreto, definito e limitato, sottraendolo alla forza dell’illusione fantastica che fosse diverso. Insomma, viaggiare disillude il viaggiatore, che si ritrova a negare il sogno a vantaggio della realtà che gli si rivela… viaggiando.

        Infine, ci sei tu, mio lettore che sicuramente hai avuto l’esperienza del “viaggio”: dei tre, tu per chi propendi? Qual è la tua percezione? Che significa per te viaggiare?