Il “Tempo”, bisognerebbe farne una questione personale o basta intenderlo come una misura oggettiva?

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Riflessioni eretiche sul tempo
Salvador-Dalì ”melting-watch” (1954)

Dialogo tra Aristotele e Agostino

di Cosimo Maggio

Anche quella mattina, il professor Aristotele, come tutte le volte che entrava in aula, senza proferir parola, si posizionò davanti alla lavagna, spalle agli studenti, e iniziò a scrivere e commentare le sue formule di fisica, una appresso all’altra, con una velocità tale che la grafia risultava incomprensibile. Anche quella mattina, lettere scarabocchiate, messe accanto a numeri mozzati a metà, uscirono fuori dal suo gessetto con una sequenza vertiginosa e fitta che alla fine la lavagna stessa cambiava colore.

E finite, poi, le sue dimostrazioni, si girava soddisfatto verso una platea rumoreggiante, per poi passare buoni dieci minuti a ricalcate ciò che aveva scritto, prima di cancellare tutto e ricominciare. Il professor Aristotele era, insomma, un famoso pasticcione, ma di gran cuore comunque, perché agli studenti ci teneva, e a tal punto che non bocciava mai nessuno.

Quel giorno, dimostrò l’equazione della “legge oraria” del Moto Rettilineo Uniforme, per poi derivarne, da quella, la formula del “tempo”. La fissò per un attimo, sorrise, e giratosi verso gli studenti che continuavano a schiamazzare, con voce pesante e calma:

-“Vedete questa ultima formula, ragazzi?”, la indicò e ci sostò sopra ancora. “Questo è il tempo: una grandezza fisica, voi mi direte; o semplicemente è un’invenzione della nostra mente? Io vi chiederei”, chiuse gli occhi e sospirò. Intanto, un silenzio inatteso aveva avvolto l’aula. “Il tempo è qui, dimostrato di fronte a voi, la semplice espressione di un concetto matematico: lo vedete da voi. È la variabile attraverso la quale l’uomo misura il movimento delle cose nello spazio… ecco: tempo, movimento e spazio… non soli, ma insieme bisogna nominarli, perché ciascuno di essi è imprescindibile dagli altri, non esiste senza gli altri: uno e trino”, sghignazzò; poi, prese un fazzoletto e si asciugò la fronte. “Ora, dei tre concetti prendete il solo tempo: è il numero del movimento secondo il prima e il poi. Esso può essere un istante che divide il “non essere più” (il passato, per intenderci) e il “non essere ancora” (il futuro, per essere chiari). Ma, allo stesso modo, può essere l’eterno del prima e del poi. E alla fine, che cos’è? Un numero, semplicemente un numero che ha bisogno di un’anima che ne legga la misurazione. Insomma, il tempo esiste come elemento oggettivo della realtà esterna, ma ha bisogno di noi per essere letto”, e quindi tacque.

Taceva lui e tacevano i suoi studenti che attendevano che lui continuasse.

Dal fondo della stanza qualcuno gridò un proprio disappunto:

-“Tutto questo è un’aporia”, dagli ultimi posti di quell’affollata aula un ragazzo si alzò.

-“Una che?”, mise a fuoco gli occhi, e lo cercò tra i banchi. “Cosa hai detto, figliuolo? Presentati alla classe e spiegati meglio”.

-“Che è un’aporia”, quello strillò ancora più forte. “Mi chiamo Agostino, e dico che il suo discorso è una dimostrazione circolare”. Si guardò intorno, e con un po’ di emozione, riprendendo fiato: “Lei utilizza il tempo per definire il movimento, ma allo stesso modo, per definire il movimento ha utilizzato il concetto di tempo: è un circolo logico. E poi, dal suo discorso, prof, ne esce fuori che il tempo è inconsistente: lei dice che esso è formato dal presente che è un punto inesteso e inafferrabile, un istante senza dimensione; dal futuro, che non è ancora, e che quindi non esiste; e dal passato, che non è più, e che quindi ha smesso di esistere. Ma allora, questo tempo che cos’è? Perché: se fosse sempre presente, che è l’unica certezza dell’essere “Tempo”, senza tradursi in passato o futuro, non sarebbe più tempo ma eternità. Quindi, per essere tempo, il Tempo ha bisogno del passato; ma se esiste perché è esistito, ha poi la necessità di continuare ad esistere, e ha bisogno di essere futuro. Insomma, il Tempo, per esistere, ha bisogno di qualcuno che lo intuisca oggi, lo ricordi domani e lo aspetti speranzoso ieri”, si sedette.

-“Cioè, tu, Agostino, affermi che il Tempo è un pensiero?”

-“Di più, prof: è un estendersi e un distendersi della coscienza individuale”.

-“Sei quindi un fautore della concezione soggettiva del tempo. E come lo spieghi il movimento, allora?”

-“Attraverso il fluire del Tempo: vede prof, la coscienza si contrae verso il passato quando oggi ricorda, si protende verso il futuro quando oggi spera e attende, intuisce il flusso del tempo che la attraversa quando oggi ne ha la visione per pura intuizione”.

-“A sì? Allora, spiegati: se ti do una misura, per esempio ti dico che sono le 12:00 in punto, cosa ne intuisci?”

-“Che è finita la lezione, prof, ed è ora di andare a pranzo”.

[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1b, Paravia-Pearson]

MODELLI PER LA STRUTTURA PER SCADENZA DEI TASSI D’INTERESSE: L’APPROCCIO ECONOMICO-STOCASTICO

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di Cosimo Maggio

Come abbiamo visto in un precedente lavoro, l’approccio “statistico-parametrico” ha come principale obiettivo quello di migliorare l’adattamento, cioè il fitting, ai dati osservati del modello teorico utilizzando polinomi interpolanti. Con l’approccio “economico-stocastico” si cerca invece di ottenere un modello di SpS…

La Conoscenza umana e le sue origini oscure

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Dialogo tra Platone e Aristotele

di Cosimo Maggio

Non lo vedeva da più di un mese.

Preoccupato, si recò presso il domicilio dell’amico, dall’altro lato della città, e con manifesto disappunto venne a sapere che l’altro s’era recato in villeggiatura, al mare, senza averlo avvisato. Platone, su tutte le furie, partì anch’egli, ché già sapeva dove trovarlo.

Lo raggiunse che era sera, al crepuscolo, e lo scoperse seduto sulla battigia intento a scrivere con un legnetto sulla sabbia, mentre le onde glieli cassavano i segni che faceva, a ripetizione.

– “Eccoti dov’eri finito”, si gustò lo scritto che veniva depennato dal mare, che operava come una botta di spugna fa su una superficie sporca. “Per fortuna che le tue idee ti stanno in testa a prescindere, altrimenti… non ne rimarrebbe nulla, visto che il mare te le cancella ogni volta”, lo disse in maniera sarcastica, quasi a voler stuzzicare l’amico.

– “Non c’è bisogno che mi stiano già dentro, le idee. Esse vengono fuori tutte le volte che scrivo”, alzò gli occhi e gli sorrise. Rivolse lo sguardo verso l’orizzonte: un rosso accecante aveva colorato il tutto, mentre la dritta luce del faro posto in cima ad uno scoglio iniziò a roteare intorno, puntando verso il largo. “Ben arrivato, ti aspettavo”, poi, appoggiandosi all’altro, si sollevò da terra e si sgrullò di dosso la sabbia come un cane fa dell’acqua quando è zuppo. “Il mio pensiero nasce dalla continua esperienza che faccio, non è innato come dici tu”. I due si avviarono lungo la spiaggia.

– “Guarda, la mente è come quel faro che illumina tutto, una volta sola, ripercorso il giro: quando il tutto non si illumina da solo ma preesiste comunque al faro, allora la sua luce, ogni volta che lo tocca, permette che quel tutto sia interpretabile”, lo disse tutto d’un fiato. Fece uno starnuto, e si pulì il naso con la manica della camicia. “Le tue nozioni, la tua conoscenza, stanno già dentro di te. La tua ragione, poi, pensa e comprende la realtà, perché questa è incastonata in categorie e principi propri”, con l’andatura s’era fatto avanti nel tragitto, e per questo rallentò e si voltò. Aristotele era attardato, e non sembrava seguirlo. “Senti quello che dico?”. Platone sbuffò: “non c’è differenza tra parlate a te o al muro, questa è la verità”.

Aristotele gli sorrise: “Caro amico mio, ti sbagli due volte, oggi: non solo ho ascoltato con attenzione le tue parole, ma anche ti svelo che il mondo lo si conosce solo con l’esperienza sensibile, acquisendo i dati, rielaborandoli, ragionandoci sopra, e tutto attraverso i nostri sensi. Ecco, cosa abbiamo di innato: i sensi, non i pensieri già belli e fatti, come dici tu. È dalla raccolta e analisi delle informazioni esterne che noi astraiamo i concetti universali. La conoscenza umana non è né indipendente dall’esperienza, né è anteriore ad essa”, accelerò il passo e lo raggiunse.

– “No, non è così. Le idee non derivano dall’oggetto, ma costituiscono l’oggetto che la tua mente vede; l’esperienza sensibile, invece, è una “visione del corpo” che fa della realtà una copia imperfetta e sbiadita delle idee: i dati empirici, quelli che dici tu, servono alla mente solo per ricordare i paradigmi delle cose, le loro forme immateriali, innate, presenti da sempre”, prese un fazzoletto dalla tasca e si pulì il naso meglio. “La conoscenza della realtà si ha attraverso la visione che la nostra mente ha di ciò che è esterno ha noi, e ciò lo cogli con la ragione (il Logos) e nella misura in cui questa riesce a liberarsi e ad astrarsi dai sensi”.

– “Sono solo le nostre facoltà conoscitive ad essere innate. Come puoi aver preso una simile cantonata!”, sospirò chiudendo gli occhi. “Le capacità di vedere, toccare, sentire sono innate; ma gli oggetti, in potenza percepibili, diventano visti, toccati, odorati solo quando li vediamo, tocchiamo, odoriamo… diventano, insomma, oggetti conosciuti solo quando ne facciamo esperienza. Ma prima dell’esperienza sensibile la mente umana non conosce nulla: è come tabula rasa. Tutta la conoscenza umana inizia proprio con l’esperienza dei sensi”.

Platone fece spallucce. Si girò verso di lui e gli poggiò una mano sulla spalla: “Con te non si può proprio disquisire, sei un testone e non ti si può far cambiare idea”. Poi, con un’espressione interrogativa scorse che l’altro trainava qualcosa dalla scia lasciata sulla sabbia.

Aristotele si trascinava dietro una sacca di tela. L’aprì e ne tirò fuori un tocco di pane che offrì all’amico.

Platone spalancò gli occhi incredulo, e digrignò i denti: “Mi stai offrendo la cena, per caso? Spero che tu abbia qualcos’altro di meglio da farmi mangiare stasera”.

Aristotele scoppiò a ridere. “Tranquillo, ti porto in una trattoria dove le linguine allo scoglio fanno resuscitate i tuoi innati sensi ormai defunti”.

[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1a, Paravia-Pearson]