di Cosimo Maggio
È a tutti noto che un certo Marco Polo, mercante e viaggiatore veneziano appartenente ad una famiglia di mercanti e viaggiatori veneziani, nell’ultimo quarto del tredicesimo secolo, intraprese un viaggio a dir poco “meraviglioso” verso la corte di Kublai Khan, discendente del grande Gengis e padrone di mezza Asia. Il giovane Polo soggiornò presso la corte mongola per più di vent’anni. Egli era ben voluto dal Khan a tal punto che per suo conto svolse diverse missioni diplomatiche, entrando così in diretto contatto con curiosi costumi e usanze, nuove terre e fantastici animali. Tornato a Venezia, fece trascrivere tale avventura a Rustichello da Pisa, mentre erano in prigione, durante la guerra contro Genova. Nacque così il Milione, un nuovo modo letterario di rappresentare la realtà, non più come un’invenzione della mente, ma attraverso un’esposizione che potremmo quasi dire “da documentarista”. Il viaggio, così, diviene un documentario con il compito di registrare, descrivere, insomma informare il lettore, esponendo il tutto in modo chiaro e preciso, ordinato; mentre le bizzarrie e le meraviglie, che pur ci sono nell’opera, rimangono relegate al senso di stupore che le “novità” raccontate provocano nel chi le legge.
Nel 1981, Primo Levi pubblicò La ricerca delle radici, un’antologia personale frutto delle opere che più avevano segnato la sua formazione di scrittore: tra di questi, un posto importante era stato occupato proprio dal Milione di Marco Polo. Levi scrisse che le ragioni di tale scelta stavano nell’amore per il viaggio che ha consentito a lui di misurare la “statura dell’uomo”, plasmata con la dignità di chi affronta i pericoli e resiste, crescendo e maturando. Ecco che il “viaggio” diventa un mezzo di “crescita morale” necessaria all’individuo, pur rimanendo salvo l’aspetto per così dire scientifico del viaggiare. Per Levi, quindi, viaggiare è importante perché migliora sé stessi, arricchendosi di conoscenze non sperimentate prima.
E ancora, anche Italo Calvino scrisse sul “viaggio”… anzi, si propose di riscrivere addirittura il Milione, realizzando così nel 1972 Le città invisibili; ma il suo punto di vista era totalmente diverso: se prima della sua conoscenza il mondo era sconosciuto e misterioso, indistinto e indefinito, totalmente “infinito”, per dirla in maniera leopardiana, il viaggio lo rivela così com’è, concreto, definito e limitato, sottraendolo alla forza dell’illusione fantastica che fosse diverso. Insomma, viaggiare disillude il viaggiatore, che si ritrova a negare il sogno a vantaggio della realtà che gli si rivela… viaggiando.
Infine, ci sei tu, mio lettore che sicuramente hai avuto l’esperienza del “viaggio”: dei tre, tu per chi propendi? Qual è la tua percezione? Che significa per te viaggiare?