di Cristiano Morgante
Lasciare che il ragionare sia un diritto dei titolati o dei titoli potrebbe essere una pratica negativa; il ragionare, o come amo definirlo il “filosofare”, dovrebbe non avere come caratteristica l’esclusività.
Immaginiamo quanti di questi atteggiamenti esclusivi potrebbero limitare le menti aperte, quelle menti, per intenderci, che hanno un metodo naturale innato, un’efficacia di ragionamento e qualità fuori dal comune, che per motivi vari non hanno avuto la possibilità o sentito la necessità di acquisire un titolo.
Con questo non sto dichiarando che la cultura sia inutile, anzi, amo fra le tante letture “L’utilità dell’inutile” del Manifesto (ed. Bompiani) di Nuccio Ordine. Affermo solo che il precludere l’espressione e la partecipazione di alcuni individui “non titolati” ma “dotati” potrebbe comportare un limite o una inibizione al metodo che esiste ma non si conosce, metodo del quale parleremo prossimamente. Ci troveremo certo concordi che la censura delle menti è una pratica che la società deve impedire ad ogni costo e in ogni luogo.
Mi permetto di fare un’ulteriore precisazione, e sembra già di vedervi con le mani sul volto esprimere attoniti il vostro dissenso: “anni di studio, esami, convegni, master e pubblicazioni e questo signor nessuno va scrivendo liberamente che sono un limitato?”. Siate comprensivi e permettetemi di spiegare meglio le ragioni di quanto scrivo: non sto invitando nessun a considerare la scuola e la cultura attivatà di secondo piano; il mio invito è semplicemente quello di uscire dai dogmi (che sono vincolanti) che ci confinano e rallentano nella crescita sociale, ponendo un enorme fardello sul cambiamento evolutivo dell’uomo, rendendo impossibile la partecipazioni alle menti che non sono programmate dal sapere storico, ma che lavorano sull’intuizione o sull’esperienza personale, o magari entrambe; i dogmi, insomma, sono causa di danni irreversibili al progresso … ne discuteremo in altri articoli.
C’è da dire, ad “onor del vero”, che questa censura non investe i soli “diversamente titolati”, concedetemi il “sarcasmo”, ma può limitare anche chi ne ha di titoli, e che spesso si trova espulso dalla comunità intellettuale, accusato di relegare le discipline di appartenenza a metodi non convenzionali; infatti, spesso si sente dire: “lei non rispetta i dettami imposti dalla comunità X o Y”.
In fondo, ammettiamolo, quante volte ci siamo sentiti isolati, pur proponendo idee che consideravamo valide? E per le stesse idee siamo stati derisi e totalmente neutralizzati dalla campagna moralizzatrice inflitta da un branco becero e inconsapevole. Quante volte hanno volontariamente direzionato le nostre argomentazioni su campi “convenzionali”, e maggiormente “utili” per gli interlocutori di turno, dai quali siamo stati costretti, nostro malgrado, a guardare realizzate da altri quelle che sentivamo a pieno titolo nostre idee; le stesse idee saranno realizzate da menti impavide, meno condizionate delle nostre e poco inclini al pensiero unico. In quell’istante, delusi e presi dallo sconforto, ci siamo sentiti come Atlante, castigati da Zeus, costretti a sorreggere sulle spalle la volta celeste, un universo che vuole mantenersi elevato e che non si pone le domande: dove sta poggiando i piedi Atlante per sostenere questo universo ? E la stessa terra, dove poggiano le possenti gambe di Atlante, da cosa è sostenuta?
Il mio invito è di esaltare, ascoltare e condividere la cultura e i pensieri, senza escludere nessuno dalla possibilità di esprimersi liberamente e serenamente, lontani dalla necessità di fondare circoli esclusivi, eliminando ogni vincolo, incentivando l’espressione individuale per un bene collettivo, al fine di sviluppare una crescita socio-culturale ad ampia prospettiva. Ma per fare questo ci vuole follia e coraggio, ed è necessario innanzitutto rinunciare ai vantaggi di appartenenza a quelle relazioni protettive che impediscono di incidere concretamente nella società, con la consapevolezza interiore di non poter, in nessun modo, vivere come i guardiani di un mausoleo, esseri senza volto e senza voce, immagini cristallizzate, senza tempo e senza sostanza, come le ombre che ci riportano al mito della caverna di Platone. Ci basterebbe insomma quel pizzico di follia, che citavo sopra, per rendere il mondo un posto migliore, per noi e per gli altri, una realtà di contenuti, ancor prima che di forma.
Mi sto imbarcando su questa nave insieme a compagni illustri e provetti marinai nel mare delle virtù, uomini di cultura e esperienza … a loro serviva un folle e a me un passaggio, percorreremo insieme rotte alternative, spesso insidiose, troveremo mare grosso e metteremo a rischio l’intero carico e forse tutto l’equipaggio; sarà difficile attraccare, e ad ogni porto non sarà semplice essere accolti. Ma l’avventura stessa è motivo di eccitazione, e sarò sempre riconoscente verso gli uomini e le donne che l’hanno permessa e sognata. Personalmente sono proteso verso “un meta che non vedo, ma che esiste”. La nave del folle oggi ha un motore, servono marinai e avventurieri, non schiavi rematori.
”Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia.” […] Perché la cultura occidentale ha respinto dalla parte dei confini proprio ciò in cui avrebbe potuto benissimo riconoscersi, in cui di fatto si è essa stessa riconosciuta in modo obliquo? Perché ha affermato con chiarezza a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”. (Michel Foucault)
Subscribe to our newsletter!