Dialogo tra Platone e Seneca
di Cosimo Maggio
“Signore e signori all’ascolto di Radio Felicità, buongiorno. Iniziamo il nostro radio-giornale leggendovi la toccante lettera che, oggi, Piergiorgio Welby ha inviato al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: <<Io amo la vita, Presidente…>>”,
Platone si bloccò; sollevato lo sguardo nel vuoto, rimase in silenzio ad ascoltare. Pochi minuti dopo gli squillò il telefono.
“Seneca, come stai? Hai sentito della lettera scritta da Welby a Napolitano?”
“Caro Platone, tu lo sai come la penso. L’ho scritto nella mia Lettera a Lucilio: il bene non consiste nel “vivere”, ma nel “vivere bene”. È la qualità della vita che fa la differenza, non la quantità”, quello si trovava in pieno traffico, che per farsi sentire strillava.
“Ma dove sei? Si sente una caciara assordante”.
“Mi senti, ora?”
“Ora sì… ti volevo dire che a me non piace questo modo frivolo di intendere il “vivere”: si perde il senso del fine ultimo dell’Uomo. Non si può violare l’ordine naturale delle cose, voluto da Dio. L’eutanasia è contro natura e contro ragione”, lo disse risoluto, con convinzione.
“Ma no, no… come al solito, tu confondi l’accadimento inevitabile degli eventi, voluti dal caso e lasciati al caso, con la libertà di scelta che questi eventi accadano se si vogliono far accadere, quando poi accadranno di sicuro. La morte non è una scelta, hai sentito? La morte non è una scelta mentre il “vivere” sì: se morire è inevitabile, perché lasciare al caso il suo momento? Perché non possiamo noi decidere quando? Se all’Uomo è stato concesso di vivere con il diritto di scelta su tutte le sue azioni, decidere sul “vivere” stesso rientra in questi diritti. La vita appartiene interamente al singolo individuo, che liberamente fissa come affrontarla, e, quindi, ne stabilisce le sorti: a lui, e solo a lui, spetta il giudizio e l’azione se riguardano l’Io… non puoi non essere d’accordo su questo punto… ma mi senti?”.
“Tu dimentichi che “vivere” è un diritto assoluto, non violabile, né patteggiabile: ci appartiene come il più grande dono mai avuto, ma non c’è concesso rifiutarlo. Insomma, una volta concessa, la vita diventa un dovere, questo io penso. Tu invece che faresti? La scambieresti con il diritto alla libertà di decidere se accettarla oppure no? La libertà di “Negare la vita” è incompatibile con la “vita” stessa, sappilo. La vita è sacra, sempre e comunque”.
L’altro sbuffo: “Parli sempre per slogan?”
“Dico solo come stanno le cose: tu invece interpreti a tuo comodo i fatti”.
“Allora dimmi: è giusto avere e perpetrare una vita fatta di infelicità, dolore, negatività, delusioni, malattie e tragedie, in schiavitù o nel buio del disprezzo e dell’isolamento? Ti sembra ragionevole vivere una non-vita? Rispondi a questo. E poi, non sopporto proprio la filosofia di quel rodiese, Telesforo di Rodi, che quando mi vede mi grida <<finché c’è vita c’è speranza>>, e sghignazza sotto i baffi… non si può, e non si deve, vivere a tutti costi; non si deve svendere la propria vita a qualunque prezzo, solo perché siamo obbligati a respirare… e poi, obbligati da chi?”.
“A guarda: ti concedo il senso di prigionia, ma è per l’uomo superficiale; e credimi se ti dico che non è lecito liberarsi da soli: il suicidio, o chiamalo come vuoi, è un atto empio, insensato e da stolti”.
“No, ti sbagli: è l’infelicità che è empia… ingiusta, intollerabile, malsana, pericolosa… mortale. Quindi: se la vita ti piace, vivila; altrimenti, decidi cosa ne vuoi fare, perché è un tuo diritto decidere… pronto, pronto, pronto… ma guarda te: ha esercitato il diritto di riattaccare”.
[Liberamente tratto da: Abbagnano N., Fornero G. “Filosofia. La ricerca del pensiero“, vol. 1b, Paravia-Pearson]